Lo storytelling nel marketing

Dicembre 10, 2021

Da un po’ avevamo in mente l’idea di scrivere un articolo su marketing e storytelling perché vediamo che più si va avanti più aumenta la confusione su questo argomento. Mentre il tutto era lì in stand by, ecco che la polemica sullo spot del Parmigiano Reggiano ci ha dato il “pretesto” perfetto.

Il focus dell’articolo non è lo spot appena citato, anche perché secondo noi si tratta di una polemica completamente inutile nata grazie al sempre più vasto partito degli indignati.
Se dobbiamo dirla tutta il problema non è lo spot, ma l’intera campagna e un certo modo di fare comunicazione… male!

L’arte di raccontare

Se cercate online cosa è lo storytelling nel marketing troverete che tanti esperti lo definiscono come “l’arte di raccontare una storia”. Ma secondo noi non è corretto ed è quanto meno riduttivo.

Se bastasse saper raccontare belle storie qualsiasi romanziere sarebbe un copywriter di successo, e sappiamo che non è così. 

Quindi lo storytelling è solo una tecnica di scrittura? Basta seguire uno schema simile a quello individuato da Propp cento anni fa per scrivere una storia efficace? Anche questa volta non è così.

Se stessimo parlando di linguistica le definizioni date sopra potrebbero anche funzionare, ma visto che stiamo parlando di marketing lo cose sono molto diverse. Altrimenti non avrebbe senso tutto l’hype degli ultimi 10 anni attorno ad una tecnica che nella comunicazione aziendale si usa da sempre.
Vi ricordate lo spot Barilla con la bambina che salva il gattino dalla strada? Quello rappresenta perfettamente “l’arte di raccontare una storia” in ottica marketing, ed ha quasi 40 anni.



Storytelling come strategia

Fino ad ora abbiamo detto cosa non è lo storytelling, adesso parliamo di cosa dovrebbe essere.
Prima di tutto vogliamo dare allo storytelling la dignità di una strategia ed affrancarlo dal ruolo di fratellino minore della retorica.

Si tratta di raccontare la storia, non una storia.
In sostanza con lo storytelling parliamo dell’azienda, dei suoi valori, dei suoi punti di forza e della sua quotidianità. Qualcosa di concreto, non una favoletta.

Lo storytelling non è fatto da un singolo post, ma da una serie di contenuti dai quali emerge il ritratto del brand.
Più il racconto è vivido e realistico, maggiore è la sua efficacia.
Trattandosi di una strategia, lo storytelling può essere declinato in contenuti e canali differenti. In uno spot per un prodotto, in una serie di post sui social o anche in un cortometraggio.
Ovviamente è più indicato quando gli obiettivi sono il branding e l’awareness, mentre è meno efficace per le campagne di conversione.

Storie o storytelling?

Come diciamo spesso in questo blog, il marketing cerca sempre l’autenticità nella comunicazione e questo vale ancora di più per lo storytelling. Più ci si allontana dall’autenticità più si rischia di creare un cortocircuito che non solo confonde i consumatori, ma “imbruttisce” i contenuti che sembrano forzati e sbagliati.

Storie

È proprio la distanza tra l’intento “verista” ed il registro narrativo da romanzo che ha creato lo spazio per la nascita della polemica che abbiamo accennato ad inizio articolo. Questo è il vero, grosso problema dello spot e di tutta la campagna. 
Ma li avete mai sentiti dei ragazzi per strada parlare in quel modo?

Purtroppo dobbiamo constatare che Parmigiano Reggiano è in buona compagnia.
Negli anni sono sempre di più le aziende che vengono trascinate da una visione distorta dello storytelling. Nella smania di inseguire una connessione emozionale finiscono per raccontarsi come i protagonisti di un romanzo epico.

Un ritratto poco credibile e decisamente stucchevole.

Un altro esempio, se possibile ancora peggiore, è quello del corto commissionato da Mediolanum per parlare di pianificazione finanziaria.
Per girarlo è stato chiamato nientemeno che F. Ozpetek e per interpretare il ruolo principale l’attore Filippo Nigro.
L’AD dell’azienda a riguardo ha dichiarato che “attraverso questa operazione abbiamo voluto superare i canoni e i linguaggi di comunicazione più istituzionali […] divenendo mecenati del cortometraggio d’autore”.
Basta leggere questo piccolo stralcio per capire quanto tutta l’operazione sia estremamente auto riferita.
Vi possiamo assicurare che il corto non sembra pensato con un target preciso in mente. Che poi, chi dovrebbero essere i destinatari?
I giovani che dovrebbero preoccuparsi delle loro finanze future?

Anche in questo caso c’è uno scollamento tra l’intento, sensibilizzare all’importanza della pianificazione finanziaria, e il contenuto.
Il corto, sembra più un esercizio recitativo fine a se stesso, che forza la mano sull’emozione ma restituisce un messaggio confuso.

Anche il brand Mulino Bianco sembra confuso sul concetto di storytelling. Se vi ricordate la campagna di un paio di anni fa, che vedeva protagonisti una giovane coppia di mugnai, capirete cosa intendiamo.
Attraverso le storie dei due, l’azienda provava a raccontare e trasmettere i suoi valori, seppur romanzando il tutto.
In questo caso almeno i concetti espressi erano credibili, meno il modo di farlo. 
Le scenette infatti risultavano costruite, a tratti paradossali ed irrealistiche e il fatto che la coppia fosse interpretata da due attori molto conosciuti non aiutava.

Storytelling nello spot mulino bianco
Storytelling

Poco sopra alla linea della sufficienza troviamo Poltrone e Sofà, che per le sue campagne pubblicitarie usa un concept molto simile a quello di Mulino Bianco.
Anche loro hanno provato a raccontare la vita e i valori dell’azienda ma hanno scelto come protagonisti degli attori, stavolta sconosciuti, per impersonare i dipendenti.
Inoltre all’inizio gli spot erano ambientati all’interno dei reparti dell’azienda, il che dava molta più veridicità alla storia.

Ovviamente, con il passare del tempo, le idee finiscono così come le situazioni da mettere in scena. Ecco perché negli ultimi spot lo storytelling è stato abbandonato per passare a delle creatività differenti (e meno realistiche).

Chi è riuscito a cogliere meglio il significato di storytelling e applicarlo in uno spot televisivo è Amazon. Ci riferiamo alla serie di pubblicità in cui i protagonisti sono i dipendenti dell’azienda e le loro storie di vita quotidiana.
Ci sono la signora non più giovanissima che si rimette in gioco, il ragazzo che da una mano alla famiglia, il signore di mezza età che non ha mai terminato gli studi.
Sono storie credibili, raccontate con semplicità da chi le vive. Anche le location sono estremamente reali, perché gli spot sono girati all’interno dei magazzini di Amazon, senza inquadrature strane o effetti.

È più semplice identificarsi con questo tipo di storytelling ed è questa genuinità che porta il consumatore a connettersi anche emotivamente con l’azienda.

Storytelling Social

Per sua stessa natura lo storytelling trova il suo habitat naturale sui social media. Trattandosi di una strategia che ruota intorno alla realtà, è perfetto per contenuti che si ripetono, anche quotidianamente.

Fare storytelling non significa inventare strane situazioni o narrazioni per stupire chi guarda, anzi il contenuto semplice e ripetuto trasmette solidità e familiarità.

Come si dice: consistency is the key!

Non solo le aziende possono usare questa tattica per fare branding e fidelizzare i propri clienti ma anche i professionisti possono ottenere eccellenti risultati. Raccontare la propria attività giornaliera, in maniera semplice e concreta, è un ottimo modo di fare personal branding.

Quale modo migliore che raccontare il proprio lavoro per rafforzare la propria reputazione e trovare nuovi clienti?
Se poi, all’interno del racconto, si inseriscono anche scorci di vita privata, diventa ancora più facile stabilire una connessione con la community a cui ci si rivolge.

Non è semplice trovare il giusto mix tra “pubblico” e “privato”, non esiste una regola universale da seguire. Di sicuro il confine è sottile e si rischia facilmente di sconfinare nell’inappropriato, visto che ogni persona ha una sensibilità diversa.
Persino grandi esperti di comunicazione cadono in errore, ad esempio quando si dimenticano del lato professionale e usano i loro profili social come un diario personale.

Anche scrivere lunghi post per raccontare la scalata “dal piccolo paese di periferia al grattacielo di Dubai”, come fanno tanti guru fuffari, non equivale a fare storytelling. Però come pezzi comici funzionano!!

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