Ebrezza analcolica: il trend low/no alcol

Luglio 15, 2021

Il momento dell’aperitivo sta cambiando, sempre più persone infatti scelgono, secondo il trend low o no alcol, bevande alcol free.
Se è facile capire cosa si intende per analcolico, la questione “low alcol” è più complessa. Tecnicamente una bevanda, per ricadere in questa categoria, deve avere un grado alcolico non superiore all’ 1,2% Vol.

Normativa bevande low/no alcol


Ormai quando parliamo di drink no-alcol, non ci riferiamo al “bitterino” triste che ti offre la zia quando vai a farle visita. Sono bevande create da esperti e studiate nel minimo dettaglio, dal packaging al marketing. In sostanza questi prodotti possono competere tranquillamente con i loro cugini alcolici. E lo fanno sempre di più!

I numeri del trend low/no alcol

La proposta di bevande analcoliche – di buon livello – non è nuova sul mercato. Già nel 2006 l’azienda Australiana Edenvale ha iniziato a produrre vino analcolico mentre nel Regno Unito Seedlip produce dal 2014 infusi botanici analcolici di qualità per cocktail. 

Negli ultimi 3 anni però, la domanda è cresciuta in modo esponenziale attirando anche l’interesse delle grandi multinazionali del settore. Nel 2019 Diageo ha acquisito la maggioranza di Seedlip e Heineken ha speso 50 milioni di dollari per lanciare sul mercato americano la sua birra 0.0.

Secondo un report di IWSR il consumo globale di prodotti no/low alcol è destinato a crescere del 31% entro il 2024.
I numeri sono molto interessanti, ma variano sensibilmente in base alla categoria di prodotto e al paese di riferimento.
Sempre secondo IWSR, nel periodo 2018-2022, in UK a crescere maggiormente saranno gli spirits (+81,1% CAGR), seguiti dal vino (+6,6%) e dalla birra (+4,9%).

Negli Stati Uniti invece a guidare saranno i prodotti Ready To Drink seguiti da vino e spirits.
Se analizziamo altri Stati come Germania e Spagna i numeri relativi alle categorie di prodotto cambiano ancora, ovviamente a causa delle differenze culturali e delle abitudini dei consumatori.

Ad esempio in Italia, dove è radicata la cultura del vino, alcuni grandi produttori si sono lanciati nel business dei vini no alcol.

Tra gli apripista Sandro Bottega che ha dichiarato di aver venduto, solo nei primi sei mesi dell’anno, 100.000 bottiglie del suo “succo d’uva sparkling” tra Canada e Nord Europa. Anche la cantina Hofstätter, che dal 2017 produce una bollicina alcol free, prevede di vendere 20.000 bottiglie entro fine anno e punta a conquistare il mercato arabo. 

Finora sembra che queste bevande abbiano destato l’interesse soprattutto fuori dal nostro paese. Ma i consumatori italiani saranno disposti a bere un Barolo non alcolico, se mai verrà realizzato?

L’emergere di questi nuovi prodotti sta creando non pochi problemi di nomenclatura e classificazione. Coldiretti si è già espressa con un secco NO sulla possibilità di usare espressione come “vino no alcol” o “vino senza alcol”.
Il mondo dell’enologia è molto dubbioso e diviso tra chi li chiama succhi d’uva, chi vini dealcolati, chi li considera un’eresia e basta.

Nel nostro paese siamo abituati a confrontarci con etichette, disciplinari, igt, doc, docg e via dicendo ed è normale che si voglia fare chiarezza. Il consumatore deve sapere cosa si ritrova nel bicchiere e questo vale tanto per il vino quanto per altri tipi di prodotti che strizzano l’occhio ai superalcolici come gin, vodka o rum.

Quali motivazioni dietro la scelta alcol free?

Il 2020 ha segnato un’annata pessima per quanto riguarda la vendita delle bevande alcoliche che ha toccato il punto più basso degli ultimi 25 anni. Da questo dato possiamo intuire che, sebbene la pandemia abbia inciso in maniera pesante, il trend dei consumi era già in discesa da prima.
Nonostante ci sia stato un buon aumento delle vendite online (infatti molti produttori hanno usato l’e-commerce per raggiungere i consumatori durante il lockdown) i numeri ci dicono che sempre più persone scelgono di limitare il loro consumo di alcol.

La maggior parte dei consumatori dichiara di farlo per motivi legati al benessere e alla salute. Se guardiamo con più attenzione alle fasce di età ci accorgiamo che le motivazioni sono diverse e più specifiche.

Millennials

Per i componenti di questa generazione la scelta di aderire al trend low/no alcol è meditata e consapevole. Queste persone hanno interiorizzato un immaginario in cui il consumo di alcolici è sostanzialmente positivo. L’alcol è un “mezzo” di socializzazione che rende più aperti e disinibiti e ha il fascino della ribellione giovanile.

Finiti gli anni dell’adolescenza e dell’università, i Millennials oggi si confrontano con il mondo del lavoro e iniziano a mettere su famiglia. Due cose che non si conciliano con le serate a basso tasso di sobrietà.

Infatti, accanto alle ovvie motivazioni salutiste, citano la necessità di essere “performanti” sul lavoro e in famiglia tra le ragioni per rinunciare al consumo di alcol.

Alla scelta di ridurre gli alcolici però non corrisponde una diminuzione delle occasioni in cui bere. Anzi! Con la pandemia il momento in cui si stacca dal lavoro (praticamente ogni giorno) è diventato un’occasione per rilassarsi e bere qualcosa. Ma piuttosto che il tipico drink i Millennials scelgono un’alternativa low/no alcol. Anche quando decidono di bere alcolici preferiscono diminuire la quantità per puntare sulla qualità.

Insomma il Millennial non ha problemi a spendere, ma vuole farlo per prodotti di qualità. Pretende dalle bevande analcoliche la stessa varietà e complessità di sapori che gli alcolici hanno sempre offerto.

Gen Z

Gli appartenenti a questa generazione sono molto attenti ad alimentarsi e bere in modo salutare e sono interessati a tutto ciò che è di tendenza. Per loro la scelta no alcol è più naturale. 

La pressione sociale non spinge verso l’alcol, ma dalla parte opposta. I modelli di ruolo sono alcol free e probabilmente anche in famiglia l’uso del vino a tavola non è più tanto frequente. Neanche i loro amici bevono e le dinamiche di socializzazione sono diverse rispetto a quelle dei Millennials. I giovani della GenZ interagiscono soprattutto online dove ovviamente bere è inutile. Anzi, l’eventualità di comparire in immagini o video “disdicevoli” è una preoccupazione.

In sostanza l’alcol non fa parte della vita della Gen Z e per loro non è più cool.
Preferiscono piuttosto svapare o “rilassarsi” con prodotti che contengono cannabis legale. Tra l’altro entrambi fortemente sponsorizzati da influencers e tiktokers.

Boomers

Niente… loro continuano a bere come prima!! LOL.

Cosa possono fare le imprese per sfruttare il trend low/no alcol?

Come abbiamo visto il trend low/no alcol è globalizzato, trasversale e soprattutto, destinato a crescere nei prossimi anni.
Negli Stati Uniti (ma anche in UK) sono nati locali, eventi e anche un vero e proprio movimento. Chi ne fa parte ama definirsi “sober curious” e fa un vanto di questa scelta.
In poche parole, non bere alcol fa figo e chi preferisce bevande low/no alcool non è più escluso, ghettizzato o “guasta festa”.

Per tutti i motivi che abbiamo elencato, ci sono vari soggetti che possono sfruttare questo trend per diversificare, ampliare o far crescere il proprio business.

Bar e ristoranti

Chiunque gestisca una locale dove si somministrano bevande alcoliche e non deve prepararsi a rivoluzionare l’ora dell’aperitivo.

Sebbene nel nostro paese il trend non sia ancora esploso, muoversi in anticipo da sempre un vantaggio rispetto ai competitors. Potreste diventare il bar di riferimento per chi sceglie il no/low alcol!

Chi non vuole consumare alcolici è disposto a spendere anche cifre importanti e pretende alta qualità. Banditi i succhi di frutta e gli sciroppi fluorescenti, ora i cocktail analcolici devono avere sapori decisi ed adulti.

Cocktail no/low alcol



D’altra parte, anche nel nostro Paese, negli ultimi 2/3 anni, sono nate realtà specializzate nella produzione di botaniche ed infusi analcolici pregiati. I prodotti adatti insomma non mancano di certo.

I gestori di bar e locali non devono fare l’errore di trattare questo tipo di clienti come bevitori di serie b.


È importante scegliere prodotti di alta qualità e sforzarsi di realizzare i cocktail analcolici con la stessa premura con cui si preparano quelli tradizionali. Occorre fare attenzione ad aspetti come:

  • La gestualità. Per la miscelazione dei cocktail in genere si usano dosatori, streamer, stirrer, etc. La preparazione fa parte di tutto il rituale dell’aperitivo. Una buona idea potrebbe essere quella di utilizzare gli stessi strumenti anche per i mix senza alcol (non bastano 2 colpetti sotto ad una bottiglietta di succo di frutta e un po’ di tonica).
  • La presentazione. Anche l’occhio vuole la sua parte e per il cliente che sceglie di bere alcol free l’estetica è importante. I classici cocktail analcolici, tipo lo Shirley Temple, hanno un aspetto infantile e un gusto poco incisivo. Diciamo no alle bevande rosa shocking!
  • Il prezzo. Come dicevamo prima, il cliente che ordina un cocktail analcolico è disposto a spendere in cambio di un buon prodotto. Prezzi troppo bassi nel menù potrebbero far percepire la distanza rispetto alla alternative alcoliche e anche una minore qualità. 
Grandi aziende produttrici

Se avete una grande azienda probabilmente tutto quello che avete letto finora non vi sarà sembrato una novità. A livello globale le grandi multinazionali del settore si sono già mosse lanciando sul mercato delle linee low/no alcool che stanno andando molto bene. Nel caso delle grandi aziende la brand awareness gioca un ruolo chiave perché i consumatori danno fiducia ai marchi che conoscono già bene. Il trend del bere analcolico offre alle grandi imprese varie possibilità:

  • Diversificazione / Brand Extension. Considerata la domanda attuale e le previsioni di crescita, avviare una linea di produzione analcolica è una grande opportunità, se non addirittura una scelta obbligata. Permette di aprirsi ad un nuovo mercato e di continuare ad avere gli stessi volumi di produzione e vendita.
  • Branding e Packaging. Il branding dei nuovi prodotti si giocherà su un sottile equilibrio tra un’estetica appealing per gli adulti e il rispetto delle normative. I nomi, le confezioni e le grafiche devono permettere al consumatore di capire chiaramente che si tratta di prodotti analcolici. D’altra parte però devono essere accattivanti. Insomma, una sfida non semplice per creativi e addetti marketing.
  • Studio del prodotto. Che siano infusi da botaniche, estratti particolari o prodotti per mixology, le alternative analcoliche devono tenere testa a quelle tradizionali in quanto a gusto e qualità degli ingredienti. Sono rivolti a clienti adulti che cercano sapori forti e decisi.
Piccoli produttori artigianali

Il nostro Paese è pieno di piccole realtà imprenditoriali che si dedicano alla produzione di bevande alcoliche. Senza contare le centinaia di viticoltori, abbiamo anche moltissimi birrifici artigianali e piccoli produttori di distillati e liquori.

Per molti di questi imprenditori l’emergere della trend low/no alcol rappresenta un’opportunità. Non stiamo dicendo che sia una strada obbligata, anche perché mettere su una nuova linea di produzione non è economico né facile. Inoltre per un’azienda con volumi di vendita relativamente bassi il mercato riuscirà comunque ad assorbire tutti i suoi prodotti.

Ma se si ha budget a disposizione e voglia di mettersi alla prova, questo settore potrebbe essere la chiave di volta per differenziarsi dalla concorrenza e far crescere il business.

Naturalmente anche per le piccole imprese vale quello che abbiamo detto per le grandi aziende. Dovranno prestare attenzione agli aspetti di branding e allo studio del prodotto, per avere buone chance di conquistare una fetta di mercato.

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